L’Asp di Vignola festeggia con noi 10 anni di innovazione!

Crediamo che il modo migliore per festeggiare insieme sia quello di riportare integralmente le riflessioni di Marco Franchini, Presidente dell’Asp di Vignola, in seguito al convegno dal titolo “INNOVARE – l’azienda pubblica al servizio del futuro.” tenutosi a Vignola, il 21 e 22 novembre scorsi.

“Vogliamo festeggiare questi 10 anni di Asp, prima azienda in Regione Emilia Romagna, non sfogliando nostalgicamente l’album dei ricordi ma guardando verso l’orizzonte e chiedendoci quale futuro ci aspetta per i nostri servizi.
Lo facciamo interrogando proprio chi, già oggi, quel futuro lo sta cavalcando da punti di vista differenti ma con lo stesso approccio. Il futuro richiede innanzitutto un cambio di mentalità ed è proprio a mentalità diverse che noi ci ispiriamo.

È doverosa una premessa: siamo una società dell’Io, dove il personalismo la fa da padrona. Se oggi siamo qua ma soprattutto se domani vorremmo costruire qualcosa di importante lo dobbiamo a tutti coloro che fanno parte della nostra famiglia: 110 collaboratori ai quali vorrei aggiungere coloro che ora non lavorano più con noi perché trasferiti in altre sedi o in pensione, le 170 aziende con cui ci interfacciamo, tra fornitori e rapporti di lavoro, 45 volontari per quasi 400 giornate di attività e 15 organizzazioni coinvolte. Insomma una comunità in movimento.

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Nessuna attraversata è possibile con una zattera, ci vuole un grande equipaggio di cui sono orgoglioso. Ma in questi anni abbiamo segnato un cambio di paradigma ben impresso nel nostro slogan:”La Persona, prima di tutto!”.
Significa abbandonare campanilistiche appartenenze per pensare a chi veramente è la centro del nostro operare: gli utenti. Per questo in quella comunità che si muove non possiamo non guardare con appartenenza e gratitudine al welfare del territorio, nessuno escluso.  

Si guarda avanti senza dimenticare da dove veniamo e facendo i conti con la realtà che abbiamo: slanci positivistici ma non aderenti alla realtà ci porterebbero alla deriva. Di che realtà parlo? 2007-2017 sono stati anni duri. La crisi economica e la globalizzazione hanno cambiato gli orizzonti in cui ci siamo trovati ad operare. Contrazione delle risorse e aumento delle richieste ci hanno imposto uno sforzo di riassetto importante. Sia chiaro, senza vittimismo: quello di cui parlo è la realtà che ha toccato ogni cittadino e impresa. Noi come loro dovevamo cambiare. Abbiamo contratto fin ove possibile le spese non direttamente collegate al servizio, partendo proprio dagli incarichi istituzionali. Poi abbiamo cambiato modo di affrontare la realtà che avevamo davanti. Alleggerire senza investire nel cambiamento significa solo rallentare il processo di chiusura di una azienda.

Oggi la velocità di cambiamento e le nuove realtà che dobbiamo affrontare (famiglie monoparentali, multiculturalità, invecchiamento della popolazione, digitalizzazione delle relazioni, specializzazione delle competenze verso approccio olistico, per citarne alcune) ci hanno imposto un cambio di prospettiva: dovevamo diventare, al fianco dei nostri sindaci-soci, azienda in grado di precedere i nuovi bisogni e proporre soluzioni in grado di farne fronte. Cerchiamo di mettere a fuoco di cosa stiamo parlando: quando in casa residenza incontri quotidianamente persone affette da demenza, anche relativamente giovani, e i loro famigliari, quando leggi che solo a Modena sono 11.000 i casi trattati e vedi che nel mondo sono 33 milioni (previsti 70 nel 2050) capisci che è un dovere morale prima che di amministratore interrogarti su cosa devi dare in termini di servizio, di spazi, di competenze e di tecnologie per far fronte immediatamente a certe situazioni, per non doverle affrontare quando ormai saranno diventate ingestibili.
Quando guardi una famiglia con un ragazzo disabile e la vedi invecchiare preoccupata per il futuro di suo figlio, capisci che devi interrogarti su come garantire anche in termini abitativi quell’autonomia a cui tutti noi aspiriamo. Quando incontri un’azienda che vuole in modo diverso collaborare con te ma i suoi tempi sono veloci e necessitino di risposte presenti devi chiederti dentro una normativa talvolta non amica come fare per dare in pochissimo tempo tutto quello che a livello amministrativo serve. Tutto questo è fare innovazione di sistema.

Ma non basta. Chiunque di noi se entra in contatto con imprese del territorio e con la sanità, si spera sempre come osservatore, si renderà conto di quanto la tecnologia è entrata prepotentemente nel sistema. La robotizzazione dei processi, la digitalizzazione delle procedure, ha contratto i costi “accessori” e spostato sempre di più l’individuo come operatore intellettuale. Certamente però apre un interrogativo in merito all’utenza di cui ci prendiamo carico: c’è spazio per la fragilità in queste prospettive? Ecco perché è necessario interrogare chi, di questo cambiamento si rende protagonista, per fare in modo che l’innovazione non lasci indietro il suo protagonista principale: la persona! Non è solo una questione di costi ma di opportunità.

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Infine c’è una sfida che in qualche modo ci vede di nuovo in campo: la digitalizzazione delle relazioni. La tecnologia permette l’accesso a tanti ragazzi indipendentemente da chi o come sono. Se penso ai nostri è un bene. Nello stesso tempo questo si traduce nel saltare passaggi obbligati che espongono le persone fragili a facili fraintendimenti, nella migliore delle ipotesi, o a rischi personali, in quelle più negative. Penso alla disabilità, un percorso trentennale, iniziato prima definendone l’identità, dando un nome, poi gli spazi e infine il lavoro di inclusione negli spazi. Oggi mi viene provocatoriamente da dire che dobbiamo ripartire da zero.

Oggi i nostri confini sono digitali, virtuali. Ci dobbiamo interrogare come supportare i nostri utenti per far sì che la rete non imbrigli ma ci liberi nelle esperienze. Di nuovo la consapevolezza di servizio pubblico che insieme si rivolge all’utente e alla comunità che prima dicevo: essere capaci di fare questo significa divenire promotori anche per altre fasce di età (bambini, ragazzi). Servono educatori 4.0 capaci di non lasciare fuori dalla tecnologia le fragilità.
L’altro punto di vista invece è sullo strumento e quindi la consapevolezza che le battaglie che fino ad oggi abbiamo combattuto nel mondo reale di inclusione, definendo prima che cos’è la disabilità dandogli uno spazio e mettendo in atto processi di integrazione là dove era necessario, pensiamo ad esempio alle scuole, oggi la stessa sfida deve avvenire nel mondo virtuale affiancando i nostri ragazzi in tutti quegli strumenti, pensiamo ai social network, in cui un uso filtrato e consapevole può favorire l’integrazione.

Abbiamo simbolicamente messo in locandina l’immagine di un aereo. L’aereo perché in qualche modo il cambio avvenuto in questi anni è stato epocale, come passare dal guidare un’auto a pilotare un aereo, solo che mancano le scuole guida che ci aiutino a conoscere tutti i comandi.

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Sulle partenze e gli arrivi vorrei dire una cosa: oggi nelle 52 aziende tecnologiche più importanti del mondo non c’è nessuna azienda Italiana. Avevamo Olivetti sappiamo tristemente tutti come è andata la storia. Dobbiamo ripartire senza fare certi errori, penso a quelli che addirittura non vorrebbero educare nelle scuole all’utilizzo della tecnologia a nome di un falso romanticismo che esprime invece una reale ignoranza. Nessuna azienda italiana significa che per tutti quei ragazzi che hanno in mano il futuro l’unica possibilità e andarlo a cercare altrove; quindi quell’aereo che vedete è in partenza e porta il futuro lontano da casa nostra. Questo succede se non si considera che la risorsa principale è sempre la persona. Vorrei che questi aerei fossero in arrivo e pieni di ragazzi che vengono da altre parti per studiare modelli innovativi che noi facciamo e che generano lavoro e aspettative. Penso al welfare e vedo che siamo un patrimonio economico notevole, il 55% della spesa mondiale sta in Europa, che potrebbe esportare servizi e competenze e far arrivare persone a studiarne il modello. Possiamo vedere il welfare come un hub areoportuale da cui far decollare imprese e persone se non lo interpretiamo solo in ordine di costo e assistenza ma di opportunità e crescita. Per fare questo il cambio di vista è radicale. Come ci ricorda la Vice Presidente Gualmini che ha presenziato ai lavori, il futuro richiede un’azienda pubblica dinamica, flessibile e capace di anticipare i bisogni. Esattamente come noi stiamo cercando di fare.
Spesso sento parlare di futuro in termini di speranza o tragedia: non credo a nessuna di esse. Credo che il futuro ha solo bisogno del nostro impegno. Ecco perché oggi abbiamo voluto festeggiare i 10 anni impegnandoci con la Comunità.”